RIONE TERRA – Una ribelle, una donna controcorrente il cui talento la condusse oltre a ciò che in quel tempo era concesso ad una donna. Parliamo di Artemisia Lomi Gentileschi, nata nel 1853 primogenita di Orazio, pittore alla corte romana che prima iniziò la figlia alle arti pratiche della pittura (preparare i colori, pulire i pennelli) per poi capire che in lei c’era dell’altro così da farla dipingere vere e proprie opere.
Orazio Gentileschi in una lettera alla granduchessa di Toscana nel 1612, ammise che quella sua primogenita era diventata una vera e propria pittrice, in soli tre anni di apprendistato: «Questa femina, come è piaciuto a Dio, avendola drizzata nelle professione della pittura in tre anni si è talmente appraticata che posso adir de dire che hogginon ci sia pare a lei, havendo per sin adesso fatte opere che forse i prencipali maestri di questa professione non arrivano al suo sapere».
Nel 1631 l’eruzione del Vesuvio non colpì la città flegrea pertanto Martin de Leon y Cardenas, vescovo spagnolo, per lo scampato pericolo tra il 1635 e il 1637 commissionò alla pittrice per la cattedrale tre tele: l’Adorazione dei Magi, i Santi Procolo e Nicea e San Gennaro all’anfiteatro.
La più significativa è senza dubbio l’Adorazione dei Magi, una tela imponente di oltre tre metri di altezza, un capolavoro spesso in prestito ai più grandi musei nazionali ed internazionali. Il volto della Vergine pare quasi sovrastare su un paesaggio che ricorda le linee sinuose dei Campi Flegrei e, come molte opere di Artemisia, nei volti dei Santi c’è la carica emotiva dell’umano più che dell’angelico.